Oggigiorno è molto frequente assistere all’apertura di un conto corrente cointestato tra più soggetti. Le ragioni possono essere molteplici e spaziare da mere ragioni di comodità amministrativa, come gli addebiti in conto corrente delle bollette tra conviventi, l’amministrazione del denaro da parte dei genitori verso i figli e viceversa, a ragioni giuridicamente più rilevanti come la donazione indiretta di denaro.

Le implicazioni della cointestazione di un conto corrente, però, sono molteplici.

Innanzitutto la contitolarità del conto corrente fa presumere anche quella dell’oggetto del contratto (il denaro presente sul conto corrente) nonché la qualità di creditori e/o debitori solidali dei contestatari, sia nei rapporti interni tra le parti, sia nei confronti dei terzi (artt. 1854 c.c. e 1298 comma 2 c.c.). Tuttavia tale presunzione dà luogo, però, soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa[1].

A titolo esemplificativo, se Tizio e Caia sono cointestatari di un conto corrente, si presume anche che, oltre ad essere proprietari del denaro ivi contenuto in parti uguali, essi siano debitori o creditori in parte uguale dei saldi del conto corrente e dei debiti o dei crediti nei confronti dei terzi. Che così non sia può essere, però, dimostrato in sede processuale, mediante, appunto, presunzioni semplici.

Qui analizzeremo due particolari ipotesi che possono interessare i cointestatari di un conto corrente: la donazione indiretta e la morte di uno dei contestatari.

Donazione indiretta.

Per quanto attiene alla prima questione, quella della donazione indiretta, viene in aiuto il Tribunale di Ivrea che, con una recente sentenza[2], ha affermato che la mera cointestazione di un conto corrente a firme disgiunte, a favore di un altro soggetto, diverso da quello che effettua il versamento delle somme, non integra di per sé un atto di liberalità a favore del cointestatario (nel caso analizzato zia e nipote).

Infatti perché si possa parlare di donazione occorre l’animus donandi, che però deve essere dimostrato, provando che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro, già esistente sul conto corrente, non avesse altro scopo che quello di liberalità. Questo vale, tra l’altro, solamente per il denaro già presente sul conto corrente, perché per le somme non ancora versate vale il ben noto divieto di donazione di bene futuro prevista dall’art. 771 c.c..

È l’animus donandi quindi l’elemento necessario perché vi possa essere donazione indiretta, ovvero una liberalità attuata, anziché con lo strumento tipico di cui all’art. 769 c.c., mediante un altro negozio, che comunque sortisca lo stesso effetto, ovvero l’arricchimento del beneficiario.

In altre parole, non basta la mera coitestazione del conto corrente, ma occorre una espressa volontà in tal senso, caratterizzata dallo spirito di liberalità.

Morte di uno dei contestatari.

Per quanto attiene la seconda questione, la morte di uno dei contestatari, non si può prescindere da quanto osservato prima circa la presunzione di contitolarità dell’oggetto del contratto. Detto in termini diversi, la contitolarità del conto corrente fa presumere che i soggetti siano proprietari del denaro in esso contenuto in parti uguali.

Pertanto, nel caso di morte, di uno dei contestatari, i suoi eredi subentreranno nella quota di proprietà del de cuius.

Il problema si complica però, dal momento che la cointestazione può avvenire a firme congiunte o a firme disgiunte. Nel primo caso serve la firma di tutti i contestatari per poter operare sul conto corrente. Nel secondo caso, invece, ciascuno dei contestatari può operare autonomamente, disponendo anche di tutto il denaro ivi contenuto.

Da ciò deriva che gli eredi, in applicazione dei principi generali in tema di successioni, subentreranno nella stessa situazione giuridica che aveva il de cuius quando era in vita. Pertanto, se il conto era a firme congiunte, essi potranno operare solo congiuntamente, appunto, con gli altri contestatari del conto. Al contrario, se il conto era a firme disgiunte, anche disgiuntamente.

Se questo è ciò che avviene da un punto di vista giuridico, non si dimentichi, però, che tutto ciò, per ovvie ragioni di tutela, può avvenire solo dopo che gli eredi abbiano correttamente dimostrato alla banca la loro legittimazione a succedere ed abbiano dunque fornito la necessaria documentazione in tal senso. Ciò è ancor più vero nel caso di firme disgiunte, dove gli altri contestatari dovranno prestare il loro nulla osta affinché gli eredi possano operare, anche disgiuntamente, sul conto corrente.

[1] Tribunale di Ivrea, sentenza n. 614 dell’8 luglio 2016.

[2] Ibidem.

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