La Corte di Cassazione ha recentemente affrontato più volte la questione, esprimendosi in senso favorevole al contribuente. In particolare ha affermato il principio per cui restano ferme le agevolazioni fiscali, ottenute in sede di acquisto dell’abitazione, anche nel caso di trasferimento dell’immobile al coniuge, in sede di separazione, prima dei 5 anni previsti dalla legge per il trasferimento e senza riacquisto di altro immobile da adibire a prima casa.

Come è noto, infatti, il legislatore prevede una serie di agevolazioni fiscali quando oggetto dell’atto di compravendita sia un immobile da destinare a prima casa, subordinando però tali benefici a una serie di presupposti e condizioni, il cui venir meno comporta la decadenza dai benefici e l’obbligo di pagare una sovrattassa pari al 30 per cento delle imposte stesse.

Tra le ipotesi di decadenza dai benefici vi è il trasferimento dell’immobile prima che siano decorsi 5 anni dall’acquisto, a meno che il soggetto non provveda entro un anno a riacquistare altro immobile da adibire a prima casa.

Tuttavia, da un lato, la Corte di Cassazione[1] ha evidenziato come l’articolo 1 della nota II bis della Tariffa, parte prima, n. 4, allegata al D.P.R. n. 131/1986 preveda il pagamento delle imposte non pagate e della sovrattassa solo nell’ipotesi di trasferimento “per atto a titolo oneroso o gratuito”, ipotesi in cui non rientra il trasferimento dell’immobile a seguito di patto di separazione. Tale trasferimento risulta, infatti, da un lato, privo di corrispettivo e dall’altro non qualificabile come donazione. Da ciò deriva la non applicabilità della disciplina sanzionatoria prevista dalla Tariffa del D.P.R. n. 131/1986.

D’altronde, sottolinea la Corte, la ratio della normativa è quella di impedire la speculazione sugli immobili comprati con le agevolazioni prima casa e immediatamente rivenduti e tale ratio non appare riscontrabile nei patti di separazione dove, al contrario, la finalità è quella di definizione degli interessi, anche patrimoniali, dei coniugi alla luce della crisi matrimoniale.

Dall’altro lato la Corte di Cassazione[2] è nuovamente tornata sul tema, sottolineando la non condivisibilità dell’orientamento per cui all’art. 19 della legge n. 74/1987 non possa essere sempre riconosciuto, in tali ipotesi, l’effetto di impedimento della decadenza dalle agevolazioni previste al n. 4 della nota II bis, della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. 131/1986, ovvero dalle agevolazioni “prima casa”. Ricorrerebbe, secondo l’orientamento negazionista, l’esenzione dell’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa ex art. 19 solo per gli atti e per le convenzioni poste in essere dai coniugi sotto il controllo del giudice e ne rimarrebbero, al contrario, esclusi gli atti di trasferimento solamente occasionati dalla separazione.

Ciò in quanto, rileva la Corte, anche gli atti di trasferimento, mobiliari e immobiliari, se volti a definire in modo stabile la crisi, pur non essendo atti strettamente necessari per la separazione o per il divorzio, rientrano comunque negli “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” per cui la legge prevede l’esenzione, riconfermando in tal modo anche per essi l’effetto di impedire la decadenza delle agevolazioni già fruite in sede di acquisto dell’immobile.

Questo, rileva la Corte, è oggi ancor più vero ove si considerino le modifiche legislative in tema di separazione coniugale, in tema di procedimento di negoziazione assistita da avvocati, nonché in ordine alla possibilità di concludere innanzi al Sindaco accordi sostitutivi dei provvedimenti giudiziali.

[1] Corte di Cassazione, sentenza n. 5356 del 17 febbraio 2016.

[2] Corte di Cassazione, sentenza n. 13340 del 28 giugno 2016.

Post a cura di SuperPartes

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